Ti aspetterò dovessi odiare queste mura

Libertà, ti aspetterò dovessi odiare queste mura.

Sono giorni che provo a scrivere qualcosa sulla situazione che siamo tutti costretti a vivere in questo particolare momento storico. Ho avuto serie difficoltà a mettere giù qualcosa che avesse senso, il che, devo ammettere, mi ha demoralizzata un pochino. Non capivo il perché delle mie difficoltà fino a quando, poco fa, stesa a terra con le gambe alzate appoggiate sull’armadio, non ho avuto l’illuminazione. Non riuscivo a parlare della mia particolare e banalissima esperienza in quarantena perché ho letto di troppe esperienze uniche, singolari ed esilaranti di persone che si trovano nella mia stessa situazione. Provavo dunque a scrivere di qualcosa che fosse altrettanto unico, singolare ed esilarante, ma la normalità in cui la quarantena mi sta trascinando mi lasciava senza parole. Ho capito a quel punto che la quarantena ci ha teso un’altra trappola: siamo tutti così presi in quest’affanno di dimostrare all’altro che “no, noi non stiamo perdendo tempo, a noi succedono cose fighe e indimenticabili” che oggi ho quasi rimpianto il mio balcone vista mare perché nessuno poteva vedermi mentre mi allenavo o mentre battevo le mani per il Servizio Sanitario Nazionale.

Realizzare con soddisfazione quanto la mia quarantena sia banale e noiosa mi ha finalmente sbloccata ed ora sono pronta a raccontarvi la verità di questi giorni.

Partiamo col dire che ho un vantaggio su molte delle persone che si trovano (co)strette tra le mura di casa con persone che, se fortunati, sono abitualmente sopportabili.

Il mio vantaggio sta nel fatto che, mio malgrado, dei trenta mesi che sono trascorsi dalla mia laurea, soltanto quindici li ho trascorsi lavorando. L’altra metà, ahimè, se ne è andata tra ripetizioni private, colloqui inconcludenti, momenti di disperazione, serate di alcolismo impavido. Ho passato gran parte del mio tempo, in quei quindici mesi, stando a casa. Per cui sono pronta a tutto, Pandemia, let’s get it on.

Se c’è una cosa che ho imparato nei miei mesi di allenamento alla quarantena, è che bisogna imparare a praticare la pazienza e provare a non lasciarsi sopraffare dall’urgenza di dare un senso ai minuti che scorrono lenti. Credo che il sentimento che più ci accomuna in questa fase abbia sicuramente a che fare con la tremenda, angosciante sensazione di perdere tempo. Per molti questa situazione può rivelarsi paralizzante. C’è così tanto tempo a disposizione, così tante cose da fare, eppure non abbiamo la forza per farne neanche una. Non bisogna avere vergogna di provare queste sensazioni, né tantomeno è necessario improvvisarsi in gare di attivismo domestico sui social. Va bene se ci sentiamo lenti e stanchi. Va bene se i nostri vicini non sono i Ferragnez e va bene pure se non ci alleniamo come dei forsennati o se anche stavolta Cent’anni di Solitudine non ce la facciamo proprio a leggerlo.

Il consiglio che vorrei dare a chi si sente sopraffatto da quella che una mia professoressa al liceo chiamava “l’ansia del tempo che passa” è di darsi piccoli obiettivi giornalieri. Ricordate tutte quelle cose che avreste voluto fare e non avete mai fatto? Bene, vi svelo un segreto: non dovete farle tutte adesso. Sceglietene una, segmentatela in tante piccole attività giornaliere, anche da 20 minuti l’una, e #andràtuttobene.

Voglio comunque sottolineare che qualcosa di unico in tutta questa situazione c’è di sicuro. Più di 60 milioni di persone in Italia e chissà quante nel mondo, stanno vivendo la stessa identica esperienza. Per cui possiamo rassicuraci del fatto che non siamo soli, ma soprattutto non siamo gli unici a dover reggere il peso inesorabile di questo tempo vuoto di significato.

Camus direbbe: “anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice”.


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