8 marzo. Festa della donna.

8 marzo. Festa della donna.

Ne approfitto per scrivere un po’ su quello che vuol dire oggi imparare a vivere donna, almeno per me, eh!

Questo non vuole essere un manifesto sulla femminilità intriso di autoreferenzialismo, piuttosto un’opinione messa nero su bianco a cui si può rispondere anche con un “cazzo dici?!”.

Senza dilungarci troppo, direi di entrare subito nel vivo. La prima cosa che mi va di dire è che la classificazione di genere non è di così immediata ricezione (almeno non per la me bambina, ragazza e ora donna) come ci si potrebbe aspettare. E che forse per questo spaventano molto tutte le lotte del caso.

Certo, da bambini sappiamo tutti che “noi siamo temmine e loro macchi” (come direbbe un mio caro amico). Quello che non sappiamo è cosa questa distinzione comporta, nei fatti. Da piccole impariamo che a noi deve piacere il rosa e a loro il blu, e ci va pure bene perché, alla fine, chissene!  Diciamoci la verità, per i bambini sta cosa dei colori è completamente irrilevante. Ho sempre saputo che il rosa è per le temmine e comunque non mi è mai piaciuto, forse per il mio innato spirito di contraddizione. Ma neanche il blu. No, il mio colore preferito era il verde, come quello di molti miei amichetti. Tutti piccoli sovversivi dei colori, ci eravamo incontrati a metà strada, ribelli ma non reietti.

Fun fact: oggi mi piace assai il rosa, a volte lo scelgo come colore dello smalto, anche se superare i sensi di colpa correlati alla mia legittima frivolezza è stato più difficile di quanto pensiate. Insomma, fino a quando possiamo scegliere, non c’è problema! Siamo pure in grado di scegliere le terze vie del verde e posizionarci ai limiti delle convenzioni senza dare fastidio ai benpensanti. Questo vale sia per i Macchi che per le Temmine, eh.

La distinzione, cari amici, (ZAN ZAN ZAN) è tra le cose che ci troviamo a dover scegliere. I nostri universi partono dallo stesso segnale di START (rosa o blu?) per poi muoversi secondo direzioni opposte e contrarie. E così succede che al prossimo bivio noi ci troviamo al supermercato a chiederci “Con le ali o senza?”, loro sono invece davanti alla Play, indecisi tra FIFA 2000 e Mario Bros.

E comunque, a quel punto della vita, ancora nessuno capisce un cazzo; viviamo queste esperienze con la fatalità di chi in piena crisi Coronavirus prende comunque la metro a Milano.

Insomma tutto quello che ci capita crescendo appare inevitabile, ci viene detto che è normale, e quindi va bene così. Anche qui: chissene. E il problema sta proprio in questo.

Sarebbe a dire? Ebbene, amici, il problema è che ci insegnano a prendere per inevitabili e normali le condizioni che da secoli vengono associate al nostro essere donne.

Negli anni succede quindi che trovare il verde è sempre più difficile, amare il blu quasi impossibile.

Per ognuna l’esperienza è diversa. C’è chi impara sia normale che siano le donne a sparecchiare, a lavare i piatti. Chi crede che la bellezza sia un’arma e non un dono. [Per carità, magari è un’arma così come un dono]. Chi cresce con la convinzione che al tavolo delle decisioni, è meglio se si lasciano parlare i macchi. Chi impara che un rapporto sessuale finisce quando l’uomo arriva. Forse qui mi soffermerei un po’ più a lungo. Perché? Perché sono anche gli uomini ad esserne convinti. O almeno, le donne imparano che questa è la normalità e, prima di rendersi conto del contrario, ahimè il danno è fatto! E guai a provare ad invertire il senso di marcia. Quando si tratta di queste cose siamo noi donne, per una volta, a pensare “Ma chi cazzo gliel’ha data la patente a questo?”.

Il quesito ci porta ad un altro grande bivio. “Che faccio? Glielo dico che non è andata? Oppure orgasmo di scena e pace amore gioia infinita, sipario?”. Non c’è bisogno che lo dica, lo sapete voi cosa avete scelto la maggior parte delle volte, e come è andata le volte in cui avete provato a cambiare. Se a questo punto vi state chiedendo cosa devono scegliere gli uomini mentre noi pensiamo a che faccia funziona meglio, beh, credo che la risposta più vicina alla verità sia la seguente: tipicamente, nello stesso momento in cui noi pensiamo al sipario, l’uomo pensa: “Dove mi piace di più?” Fare cosa non lo dico, che forse mio padre mi legge e non sono ancora così a mio agio con la mia emancipazione.

Ma va beh, andiamo avanti, che qui ci si potrebbe dilungare per ore. E torniamo all’altra grande convenzione che ci dicono sia cosa normale e giusta.

Da piccole impariamo a pensare che il corteggiamento sia un duello a colpi di “dai, ti prego, ti amo” sferrati con insistenza dal macchio a cui noi rispondiamo con un “no, non posso, non ora, non voglio” in ordine sparso. Tutto nella speranza di cedere e concedersi l’uno all’altra. Ecco, da questa piccola roba qua nascono una miriade di problemi che non ve lo sto manco a dì.

E invece, sì, ovvio che ve lo sto a dì, se no che sto scrivendo a fare?

Punto uno) Gli uomini si convincono che un “No” sia semplicemente un pit-stop tra lo start e il finish.

Punto due) Le donne crescono senza aver ben chiaro come comunicare il loro desiderio. Quello che voglio dire è che è tremendamente difficile imparare ad esprimersi senza essere misinterpretate quando, ad esempio, al posto di un No (che per una peculiare proprietà transitiva a quanto pare vuol dire sì!) si intende un NoNo!, o giudicate se invece si urla Sì!.

Mi rendo conto che educarsi al consenso è davvero difficile, ma sempre più necessario. Proviamo ad impegnarci in un esercizio mentale: immaginiamo che il consenso sia come gli argini di un fiume e che il fiume sia il desiderio. Gli argini seguono il fiume dalla sorgente al mare, dallo start al finish, dall’inizio alla fine. Se il desiderio straripa, abbiamo superato i limiti del consenso. Dobbiamo educarci a seguire gli argini.

L’idea che mi sono fatta è che più cresciamo, più le nostre scelte diventano complesse, più diventa necessario comunicare all’altro cosa vuol dire crescere donna.

E questo va fatto non solo quando si verifica una circostanza che lo rende necessario, ma sempre, in modo preventivo, quasi con intento pedagogico.

Se vi state chiedendo perché sia necessario o se, al contrario, state pensando che sia inutile o presuntuoso provare a spiegare ai macchi cosa vuol dire nascere, crescere e vivere donna, vi faccio un piccolo spoiler: molti dei macchi si stanno ancora chiedendo “Ma con le ali o senza, ma cosa?”.

Non è finita qui comunque, ci vediamo alla prossima puntata.

Voglio dire a tutti coloro che stanno pensando a quanto cazzo sia etero-normativa questa opinione nero su bianco, che hanno ragione!!! Ma datemi un po’ di tempo, cazzo!, vi ho detto che non è finita qui.


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